di Federico Vergari
Tokyo, Goteborg, Atlanta e Sydney. Asia, Europa, America e Oceania.
O se preferite, mantenendo l’ordine: la prima partecipazione a un mondiale, il primo titolo mondiale vinto e due argenti olimpici messi al collo. Sono tante le vittorie e i podi conquistati in carriera da Fiona May, ma volendo sintetizzare al massimo la sua vita agonistica sarebbe possibile farlo nominando queste quattro città, di quattro differenti continenti.
Bastano quattro continenti per raccontare una vita intera? Una vita così intensa? In realtà ci sarebbe lo spazio anche per il quinto continente, l’Africa, e per la Nigeria che attraverso i salti di Chioma Ajunwa privò la May dell’oro ad Atlanta ‘96. Un salto, quello di Fiona, che le valse il record nazionale (7.02 metri), ma che non bastò per il primo posto olimpico conquistato proprio dalla Ajunwa.
È il 2 agosto del 1996. Quelli di Atlanta sono i giochi del centenario, della Coca-cola, dell’attentato del suprematista bianco Eric Robert Rudolph. Sono le olimpiadi di Atlantam-Tam, la trasmissione di Fabrizio Frizzi che prima del Tg1 delle 20 faceva il punto di metà giornata chiacchierando con ospiti e atleti, unendo – in una sorta di varietà sportivo – l’utile al dilettevole.
Chi scrive nel 1996 aveva 15 anni.
Ero piccolo, ma grande abbastanza da poter strappare ai miei genitori il permesso di poter restare in salotto a guardare le olimpiadi fino a notte fonda, perché quando in Europa calava il sole negli Stati Uniti le olimpiadi entravano nel vivo. E c’è un’immagine di quel 2 agosto che ricordo benissimo: Alessandro Lambruschini che ha appena vinto il bronzo nei 3000 siepi si incrocia nel giro di campo con Fiona May che – seppur sorridendo amaramente – sta festeggiando un argento e un record nazionale. Lambruschini si avvicina alla May e la solleva da terra. In trionfo. Sorrisi, tricolori e consapevolezza di aver emozionato i propri connazionali, distanti in quel momento ben ottomila chilometri. Se penso a Fiona May è questo il primo grande ricordo che ho. Lei che salta, vince un argento e festeggia a bordo pista con il mezzofondista italiano.
Fiona May ha vinto tutto quello che poteva vincere, l’unica delusione forse fu proprio quell’argento americano, ma è proprio sulle delusioni più cocenti che si possono gettare le basi per tornare più forti. Ecco perché questo articolo parla di quel momento, per celebrare un’atleta strepitosa che ha saputo conquistare tutto e tutti con la sua intelligenza, prima ancora che con le sue doti atletiche.
Qualche anno fa, prima di iniziare a seguire da vicino la carriera di sua figlia, Fiona May abbandonò il ruolo di Responsabile della Commissione per l’integrazione in FIGC dichiarando a Vanity Fair che il razzismo non è una priorità. Non hanno fatto niente. Servono misure drastiche. Lei, che ad Atlanta con il suo argento aveva anche sfidato un attentato di un folle che rivendicava la supremazia dei bianchi, ha lasciato il passo a qualcun altro, ma non si è arresa. È solo un incarico. Se la conosciamo bene in questo momento starà già pensando ad altro. Starà prendendo una rincorsa più lunga, per tornare più forte di prima, per fare il salto più importante. Per vincere sul razzismo.