di Federico Vergari

Prima o poi doveva succedere e allora meglio scegliere a mente fredda quando smettere, senza lasciare libertà di parola al tuo corpo che quello – si sa – può tradirti in qualsiasi momento.
Doveva essere l’8 ottobre del 2022 e l’8 ottobre del 2022 è stato. Il giorno della classica delle foglie morte, la monumento, il Giro di Lombardia. L’ultima gara di Vincenzo Nibali.

Sabato scorso il mondo del ciclismo si è svegliato sapendo che nel giro di poche ore avrebbe salutato definitivamente Nibali. Lo Squalo dello stretto non attaccherà più in salita e non si tufferà più in discesa. È la legge di chi fa questa vita: il tempo passa e bisogna fare i conti col proprio corpo che non segue più le volontà della mente. Ci passano tutti gli sportivi e anche i campioni in quello che forse è l’unico vero grande momento democratico e paritario dello sport: il ritiro.

Cosa resta di Vincenzo Nibali lo dicono le bacheche: due Giri, un Tour, una Vuelta, due volte il Lombardia e una volta la Milano – Sanremo. L’elenco sarebbe ancora lungo, ma ci fermiamo qui.
Cosa resta invece di Vincenzo Nibali per chi lo ha osservato e tifato in questi anni? La risposta sembra banale, ma è la più sincera possibile ed è dentro ognuno di noi.

E quindi grazie Vincenzo per avermi insegnato che conta il cuore, ma servono al tempo stesso anche gambe e testa. Sennò non si va da nessuna parte nello sport e nella vita.

Grazie per avermi fatto capire che per vincere certe volte devi rischiare, come hai fatto tu in Brasile a un passo dalla vittoria olimpica. Non andò bene, ma è esattamente così che doveva andare. Cadendo facendo ciò che sapevi di dover fare per vincere. Il traguardo non tagliato quel giorno è un dettaglio – non trascurabile purtroppo – ma anche in quel modo ci hai dato una lezione.

Grazie per le parole sempre pacate sia quando hai vinto, sia quando hai perso.

Ti ho visto sotto la neve sul Terminillo, sotto la pioggia nel Chianti, con alcuni amici siamo venuti a Fiuggi a lasciarti la merenda mentre ti allenavi per i giochi di Rio e chissà se quel vassoio di dolcetti secchi il CT Cassani poi te lo ha fatto mangiare.

Ogni volta per me è stata un’emozione nuova, anche se te poi alla fine eri sempre lo stesso. Quello stesso corridore che ha rimesso (nel mio caso letteralmente) in sella una generazione vedova di Pantani. Eravamo in tanti dopo la sua morte a pensare che avremmo chiuso col ciclismo o almeno col tifo e poi invece sei arrivato te a ricordarci che certe porte restano solo accostate e mai del tutto chiuse. Bisogna solo avere l’accortezza di riaprirle in punta di piedi. E tu in questo sei stato unico.

Sei nato circondato dal mare e non hai scelto il destino più scontato. Hai scelto di salire in alto, di mangiarti le strade e le montagne, di ingoiare la polvere e rischiare in discesa. Hai scelto la strada più faticosa come faticoso deve essere stato dire basta. Forse avresti meritato qualche parola in più sui giornali per salutarti e qualche servizio in più in televisione, ma è una considerazione da tifoso la mia. A te andrà sicuramente bene così. Lontano dai riflettori e con gli occhi già saldi sul prossimo obiettivo. Ti aspettiamo Vincenzo. Intanto grazie.

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